Intervista ad Alfonso Giancotti su Maurizio Sacripanti
Intervista completa disponibile qui.
Estratto:
FRF: Ho assisito ad una sua recente conferenza insieme all’architetto Bernard Tschumi. In quell’occasione ha citato, seppur brevemente, l’architetto Sacripanti. Segno che il maestro non l’ha mai abbandonata. So che lei ricorda con affetto l’esperienza nel suo studio di Piazza del Popolo e credo che Sacripanti non sia conosciuto e studiato come forse si dovrebbe. Volevo dunque chiederle: crede che la figura di questo straordinario architetto debba essere recuperata? Perché? E inoltre, quali ritiene che siano stati gli insegnamenti più importanti che Sacripanti le ha trasmesso?
AG: Per quello che riguarda in qualche modo l’insegnamento che io ho tratto dalla lezione di Sacripanti, dalla mia frequentazione del suo studio e quelli che credo siano gli elementi di maggiore attualizzazione del suo pensiero, in primo luogo metterei questa forte volontà di credere nella visione e nell’immaginazione, come stumenti sia di lettura della realtà e dell’esistente ma anche e soprattutto come strumenti di progetto.
Questo porta come conseguenza il secondo punto che è quello di considerare come centrale ed indispensabile per ogni progetto il fatto che ci sia una invenzione di fondo, un’idea, una poesia, che deve esistere per forza alla base di ogni progetto e dalla quale un progetto non può assolutamente prescindere.
Da questo se ne deriva un altro elemento che è stato per me estremamente importante, il fatto che Sacripanti alla fine palesasse la necessità di passare da un metodo progettuale di tipo deduttivo ad un metodo progettuale di tipo induttivo, che era l’unica strategia per poter passare dall’estetica degli oggetti a un fattore più importante che invece è il processo generativo di quegli oggetti; porre attenzione al processo piuttosto che all’estetica dell’oggetto stesso o dell’opera di architettura.
E quindi questo si portava come corollario quello che in qualche modo è rimasto fisso nella poetica di Sacripanti e che oggi secondo me è di grandissima attualità, che è il tema di non progettare semplicmenete degli spazi e degli ambienti, ma quelle che lui chiama delle “alternative contestuali” all’interno delle quali noi possiamo trovare diverse collocazioni per quegli spazi e quegli ambienti o cambiare la natura degli spazi e degli ambienti, e credo che questo in qualche modo sia l’insegnamento che noi dobbiamo recuperare.