Immagini di Città: Riflessioni di una Città-Ponte nella Mente di Sacripanti

Immagini di Città: Riflessioni di una Città-Ponte nella Mente di Sacripanti

Saggio pubblicato sul giornale della AAA (Associazione nazionale Archivi Architettura).
Riferirsi alla pubblicazione per le immagini, qui il link.

Estratto: 

“Ci sono dunque paesi senza luogo e storie senza cronologia; [...] Probabilmente queste città, questi continenti, questi pianeti sono nati, come si suol dire, nella testa degli uomini o, a dire il vero, negli interstizi delle loro parole, nello spessore dei loro racconti [...]”.
M. Foucault, Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli 2016

Maurizio Sacripanti fu architetto di prolifica immaginazione ed impetuosa genialità. Egli è conosciuto soprattutto per una serie di strabilianti architetture nella maggior parte irrealizzate. Con lo scopo di approfondire la sua figura e la sua poetica, il nostro gruppo di ricerca ha deciso di focalizzarsi su di un tema in apparenza marginale, ma di fatto cruciale per comprendere il pensiero di Sacripanti: la città.

Il testo più celebre dell’architetto, intitolato Città di Frontiera (1), incapsula il pensiero urbano di Sacripanti, mentre il suo unico progetto a tale scala è quello della Città-ponte sullo stretto di Messina, uno degli innumerevoli progetti irrealizzati dell’architetto romano. La Città-ponte data 1965, alcuni anni prima del famoso concorso per il ponte sullo stretto, indetto nel 1969, cui parteciparono progettisti del calibro di Pier Luigi Nervi, Giuseppe Perugini, Sergio Musmeci ed altri. Questo lascia intuire che il sito di questa nuova città, a differenza di quanto avviene nella serie di architetture irrealizzate, è stato scelto intenzionalmente e che quella del ponte rappresenta una tematica particolarmente importante per la ricerca di Sacripanti. Nel 1958 Sacripanti approcciò per la prima volta questo tema partecipando al concorso per la realizzazione del nuovo Ponte Olimpico di Tor di Quinto a Roma. Successivamente, con il progetto dell’Ospedale di Domodossola (1965-66), il tema della sospensione attraverso un sistema di ponti si delineò come elemento fondamentale e ricorrente della ricerca e della poetica dell’architetto, culminando nel suo ultimo progetto e capolavoro realizzato: il Museo-Ponte Parisi (1979). La Città-ponte sullo stretto di Messina è, a differenza degli altri progetti di ponte, generata da un pensiero sulla città nel suo insieme. La configurazione architettonica e di dettaglio è in questo caso assente e lascia spazio ad una composizione per sistemi, attraverso elementi – solidi, piani, lineari – che rimangono quasi “astratti”: forme le cui funzioni non vengono specificate, ed il cui utilizzo appare quasi ininfluente, dal momento che il progetto vuole mostrare la logica di un pensiero compositivo che struttura una realtà urbana moderna, totalmente “altra” dalla città tradizionale in quanto nata dalle esigenze della contemporaneità. Purtroppo, del progetto irrealizzato di Messina esistono solamente sei foto, relative a due diversi plastici, e uno schizzo prospettico (2). Due foto raffigurano il primo plastico di studio, approssimativo e caotico, le altre due foto invece rappresentano il secondo modellino appartenente ad un diverso momento progettuale. Esso infatti evidenzia uno stadio più avanzato della progettazione, ren- dendo più leggibili le componenti della città di Sacripanti. Le due distinte fasi del progetto per la città rappresentano qui due aree di studio separate, l’una maggiormente legata alla sfera del linguaggio utilizzato dall’architetto, l’altra riferita alla sfera della rappresentazione grafica. Entrambe risultano comunque interconnesse, come se fossero due lembi di terra da cui il percorso di definizione dell’idea di città è iniziato e si è concluso, scavalcando un’immaginaria linea di frontiera.

La frontiera, per sua stessa definizione, non è che una convenzione geografica ambigua, una linea invisibile che definisce il limite fra due distinte nazioni, un confine lineare come la linea dell’orizzonte che divide secondo Sacripanti il sopra della città vecchia dal sotto della città nuova, il passato dal futuro. Questo confine dalle connotazioni sia spaziali che temporali è il luogo in cui sorge la Città-ponte, a metà fra due mondi, pronta ad unirli, collassando il tempo che essi rappresentano tramite una struttura che è specchio di entrambi. Allo stesso modo, la nostra ricerca si compone di due tipi di analisi, riferite rispettivamente alle due diverse fasi di progettazione che affrontano argomenti diversi ma nel contempo complementari. Le due analisi sono unite da una tematica-ponte, strumentale alla profonda comprensione del pensiero e del progetto dell’architetto. Infatti, come vedremo più avanti, gli scritti di Sacripanti sono ricchi di dualità, di conflitti (ir)risolti fra due dimensioni opposte dell’uomo, della società, della città. Noi tenteremo, come tenta in effetti la stessa Città-ponte, di analizzare in profondità ambo le realtà, per riproporre infine al lettore un testo che risolva esaustivamente il pensiero urbano di Sacripanti. 

SPONDA I

Non è noto quando Sacripanti iniziò effettivamente a lavorare al progetto di Messina (Fig. 1), come non lo è il motivo per cui egli iniziò questa ambiziosa ricerca. Quel che sappiamo però è che il progetto della Città-ponte è coevo del capolavoro assoluto di Sacripanti, il teatro Lirico di Cagliari. È dunque lecito immaginare che i due progetti si siano sviluppati paralle- lamente ed è possibile forse ricostruire l’evoluzione del progetto della Città-ponte seguendo proprio le fasi di sviluppo del teatro. Come accenna Franco Purini, architetto ed ex-collaboratore di Sacripanti, in un’intervista realizzata dall’Accademia di San Luca (3), l’architetto iniziò a lavorare al progetto del teatro già nel 1964, definendo una prima configurazione esterna semplice, prismatica. Il passaggio dalla prima versione stereometrica alla seconda, composta da una facciata reticolare avvolgente l’involucro frastagliato del teatro, rappresenta un salto linguistico di notevole importanza nell’opera del Sacripanti, nel quale egli applica una scompo- sizione e smaterializzazione delle forme architettoniche (Fig. 2).

A questo cambiamento potrebbe corrispondere la realizzazione del primo modello di studio della Città-ponte, nel quale la struttura reticolare si fa maglia contenitrice di “grappoli” di città. Lo stesso teatro, come accennato dall’architetto Paolo Portoghesi nella conferenza tenuta presso il MAXXI (4), si trasforma nella sua ultima fase progettuale in una vera e propria città, mimandone le vicende e scomponendosi nelle sue sfaccettate dimensioni. Il teatro si fa città e viceversa, il teatro della vita si svolge nella città sospesa estendibile all’infinito, che Sacripanti concretizza nell’immagine abbozzata della sua Città-ponte.

Non stupisce l’interesse di Sacripanti per il tema della città contemporanea, sia per la sua capacità di riflessione ed approfondimento su analoghi concetti inerenti l’architettura, che trovano una naturale integrazione nell’ampliamento del pensiero al contesto urbano esistente e prefigurabile, sia perché il contesto culturale, non solo architettonico, nel quale il progetto in questione viene sviluppato vede nella città futura e nel suo possibile assetto formale un campo di speculazione esplorato da molti. 

[Per la contestualizzazione storica riferirsi alla pubblicazione]

Nonostante gli esempi coevi al progetto di Sacripanti propongano soluzioni urbanistiche formalmente e strategicamente simili, essi spesso nascono da un’incontenibile fiducia nei confronti della tecnologia piuttosto che da un tentativo di risolvere le contraddizioni della città esistente e/o storica. Osservando le immagini del progetto della Città-ponte non è semplice individuare questo approccio, che è presente invece in Sacripanti, ma, come vedremo in seguito, l’atteggiamento dell’architetto nei confronti della città storica è molto più attento, e la sua intera concezione della Città di Frontiera si fonda su una profonda comprensione della città e della società esistenti. Questo atteggiamento lega il pensiero di città del Maestro più al contesto Italiano che a quello internazionale. A tal proposito, Bruno Zevi ci fornisce il vocabolo che meglio descrive la Città-ponte: un ponte sospeso e a metà fra un’infrastruttura urbana, una città ed un’architettura. Quasi un decennio dopo il progetto di Messina lo storico e critico italiano introduce il concetto di “urbatettura” nel suo libro sulla linguistica architettonica (1973) (11), essa permette la “reintegrazione” fra l’edificio, la città ed il territorio: “[...] reintegrazione orizzontale e verticale, percorsi polidirezionati, non più squadrettati ad angolo retto, ma curvilinei, obliqui, inclinati. Questo principio ci spinge oltre l’edificio, lo reintegra alla città. Fratto il volume in lastre poi riassemblate in senso quadridimensionale, le facciate tradizionali scompaiono, crolla ogni distinzione tra spazio interno ed esterno, tra architettura ed urbanistica; dalla fusione edificio-città nasce l’urbatettura. Non più blocchi occupati da fabbriche e blocchi vuoti delle strade e degli slar- ghi; disintegratane la trama, il paesaggio viene reintegrato.” (12). Zevi risolve così le differenze scalari fra edificio e città, fornendoci gli elementi necessari per comprendere la Città-ponte di Sacripanti che, piuttosto che essere macrostruttura, è dunque urbatettura. Sacripanti propone la propria Città-ponte come prima soluzione e superamento della dicotomia città- campagna, allo stesso modo Zevi definisce l’urbatettura come architettura fusa allo scenario naturale. Non vi è dubbio dunque che quest’ultimo abbia proposto un valido metodo di lettura del progetto di Messina.

A proposito della sua urbatettura, Zevi si domanda: “Utopia? Solo finché rimanga vaga aspirazione” (13). La prima fase progettuale del ponte di Messina di certo rappresenta un’utopia di città, inoltre lo stesso Sacripanti scrive: “[...] oggi è necessaria l’utopia come riscatto della re- altà [...]. Rientra dunque nei confini della realtà la costruzione di una nuova civiltà dell’immagine architettonica, in cui i simboli visivi e gli elementi linguistici entrino come elemento di lettura e di confronto nel nostro metro esistenziale” (14). L’utopia di Sacripanti risolve la realtà e nel processo si fa essa stessa realtà, non statica ma modificata nel tempo nella quale la civiltà si evolve insieme all’immagine architettonica. In questo caso, come accennato precedentemente e come in tutti i casi in cui l’architetto parla di città nei suoi scritti, vi è un’alchimia fra città e architettura come se le due combaciassero, in un rapporto multi-scalare che fa di una l’ingrandimento dell’altra e dell’altra la miniaturizzazione della prima. Il tutto si risolve nel progetto simultaneo di un’immagine di città e di uomo, che prendono corpo tramite espedienti sia visivi che linguistici. Il primo plastico di progetto (fig. 1), infatti, riassume le caratteristiche di caos ed imprevedibilità insite nella città. Esso sembra essere frutto del gesto creativo ed impetuoso dell’architetto, una sorta di schizzo tridimensionale, preliminare all’effettiva formulazione dell’idea di città. L’architetto incastona entro un reticolo indefinito i dati sensoriali della città e gli schemi mentali che fluttuano nella sua memoria. La genesi di questo modello è a noi sconosciuta, ma ci piace immaginare le circostanze in cui questo progetto è nato. Come noto, infatti, tra il maestro Sacripanti ed i suoi innumerevoli collaboratori, amici artisti ed architetti, si instaurava ogni sera un euforico clima di comunità accompagnato da ingenti quantità di vino. L’atmosfera calda, l’esasperarsi dei comportamenti, l’offuscarsi delle idee e delle sagome, la sensazione di sospensione nel tempo sembrano essere i materiali chiamati a comporre questo progetto marginale, transitorio, e certamente incompiuto del Maestro. Il modello, indefinito ed impreciso, è stato costruito nell’ambiente artigianale del suo studio quasi a congelare nel tempo l’impeto creativo di Sacripanti, o a cristallizzare la sostanza sbiadita dell’idea di città nel suo concepirsi.

È interessante osservare come a metà del modello una lama trasparente sorregga e probabilmente tagli il plastico nella sua dimensione longitudinale. La porzione di ponte tocca terra solo in un punto tramite il sostegno di grandi piloni cilindrici, ma la sostanziale inconsistenza ed aleatorietà conferisce un enorme senso di leggerezza. Il progetto è sospeso grazie alla lastra come fosse una nuvola ricordandoci, tra le Irregular Stuctures di Friedman, un leggero ed elegante “gribouilli”, sospeso nella mente dell’architetto-artista come un pensiero lasciato a metà (15) (Fig. 7). Un’immagine della seconda versione del modello (Fig. 8) segue lo stesso principio del precedente. Vi è infatti una ripetizione specchiata della struttura, come se la Città-ponte stesse già confrontandosi con la massa riflettente dell’acqua dello stretto. Questo momento di riflessione è necessario al processo compositivo dell’architetto per tre motivi: innanzitutto perché Sacripanti ha continuamente tentato durante la sua carriera di riproporre (o di assorbire) nelle proprie architetture le complessità insite nella città, in secondo luogo il fenomeno del riflesso non fa che accentuare il tema della dualità, del binomio sopra-sotto o luce ed ombra che pervade gli scritti dell’architetto, ed infine questo rispecchiarsi è un passaggio fondamentale nella genesi dell’architettura. Infatti, il progetto (per lo meno nella fase iniziale) non era che un “embrione” impossibile da disegnare (16), allo stesso modo il primo modello della Città-ponte è una massa di cellule aggrumate sul punto di creare un organismo completo. Dunque la città-embrione (Fig. 9), inconscia ed inconsapevole, necessita di uno specchio per prendere finalmente coscienza di sé stessa. Esso attiva la scissione tra la mente-guscio o la mente-placenta dell’architetto-madre partoriente l’idea di città e la città stessa, finalmente nata dal riflesso come entità nuova, autonoma e (forse) finalmente reale (17).

La stessa terminologia usata dall’architetto per descrivere il proprio lavoro fa spesso riferimento alla metafora della gestazione. Sovente i suoi scritti sono considerati tenebrosi, indecifrabili, risultando molte volte difficili da comprendere. Eppure Purini ammette che Sacripanti era estremamente interessato alla teoria dell’architettura (18) e nonostante egli abbia scritto pochi e criptici testi teorici, l’architetto aveva un approccio profondo, attento e riflessivo nei confronti sia della teoria, sia del dibattito intellettuale dell’epoca. Egli era certamente interessato ed influenzato dalla semiotica e dallo strutturalismo, e questo porta a guardare agli scritti dell’architetto come un vero e proprio progetto, composto dalla suggestiva articolazione del linguaggio verbale e capace di generare un egual numero di informazioni rispetto alla sua architettura irrealizzata. Pertanto il suo libro sulla Città di Frontiera verrà considerato progetto al pari della sua Città-ponte, un agglomerato suggestivo di idee e l’insieme dei progetti irrealizzati dell’architetto che avrebbero potuto abitare la città che egli stesso si portava nella testa (19). Il testo di Sacripanti è dunque esso stesso progetto, composto di elementi ricorrenti, di una poetica fatta di parole chiave e forme guida ben definibili e, dunque, leggibili e comprensibili.

Il testo introduttivo del libro è aperto quanto l’opera dell’architetto, come lo è l’Opera Aperta di Umberto Eco (20). Nella struttura convenzionale del libro sono inseriti liberamente paragrafi e parole che promettono una crescita ed evoluzione di pensiero in base alle necessità dello scrittore e del lettore. Ogni idea è posizionata nella pagina sottintendendo contesti e intenzioni pronti ad evolvere, come le sue architetture. Queste ultime sono inserite nel libro ad illustrazione di un’idea di città tanto indefinita quanto l’esito formale del processo di sviluppo immaginato per le architetture stesse. La gerarchia fra testo ed immagine, fra paragrafo e progetto si dissolve, poiché entrambi concorrono all’illustrazione dell’idea di città dell’architetto; parola ed immagine svolgono dun- que la stessa funzione. Proprio per questi motivi è possibile comparare questo scritto chiave di Sacripanti alla Città-ponte, l’unico progetto di città del Maestro. Infatti, al di là di alcuni progetti residenziali, di complessi edilizi o di quartieri (tra cui il rilevante progetto del Quartiere Cynthia a Bagnoli), l’unico che tenta di coagulare la sfaccettata idea di città di Sacripanti è esattamente il progetto per lo stretto di Messina. Attraverso l’analisi del libro cercheremo dunque di comprendere il progetto.

In Città di Frontiera ancor prima di definire la città, Sacripanti parla di “memoria”. Con la memoria egli introduce il proprio concetto di temporalità, elemento di primaria importanza nello svilupparsi del suo personale pensiero urbano. Per descrivere la sua teoria l’architetto si affida all’evocativa immagine di una persona che ara un terreno. Quest’immagine implica la traccia lineare dell’uomo lasciata nella materia del tempo. Egli dunque concepisce il tempo come un susseguirsi di interruzioni significative, il cosiddetto progresso, che permette all’essere umano di abbandonare le convinzioni passate. Le zolle di terreno che interrompono la linearità della traccia lasciata dall’aratro sono “coaguli”, che con il “fluire” della storia si fanno semplicemente “scorie”, mentre ciò che davvero conta è l’”origine” che proietta il linguaggio, sviluppato nel tem- po, verso il futuro. Sacripanti concepisce il tempo come una sequenza lineare di eventi, in cui a origine e slancio verso il futuro corrispondono “[...] movimenti privilegiati della nascita dei tempi umani” (21).

“La città, il luogo dove il tempo si fa materia, elabora allora pagine eccezionali: il concetto di spazio viene riveduto, gli si conferisce un senso diverso dall’utile, si elaborano le strutture adatte al nuovo fine” (22). Alla memoria succede la città, la vera materia del tempo. Essa muta di pari passo con l’innovazione. La città è un testo composto da “segni” e “simboli” come quelli sulla pagina di un libro. La rivoluzione urbana dell’architetto intende contemporaneamente rivedere il concetto di spazio e superare “l’utile”, quindi, con molta probabilità, lo zoning, per proiettare la città verso quel futuro preannunciato.

A quest’introduzione segue l’elenco delle componenti della Città di Frontiera. I vari elementi contenuti nella struttura della città. La caverna è la dimora che si sviluppa attorno agli oggetti di uso quotidiano, generatori dello spazio domestico. L’ombra, che è probabilmente il materiale più complesso ed importante nell’opera di Sacripanti. Qui l’ombra coincide con figure archetipe riferibili agli elementi grammaticali costituenti l’architettura (“colonna e muro”) o il monumento-infrastruttura (“totem” e “muraglia”), che, grazie alla loro presenza e dunque all’ombra che essi generano, rendono possibile la percezione dello scorrere ciclico del tempo. Contemporaneamente essi sono “nuclei fisici della mente”, suggerendo il legame indissolubile fra l’architettura e l’uomo. Infatti, in quanto archetipi, essi esistono prima di tutto nella mente, sono forme generate dal pensiero dell’uomo. Il guscio è probabilmente la figura architettonica più poetica dell’elenco. Esso aderisce all’uomo come un vestito: “[...] il guscio, un vuoto dentro un vuoto, lo produciamo usciti all’aperto, nel terrore della perdita del grembo: ma mentre, schiacciati dal cielo, modelliamo le incubatrici di una precaria sicurezza, l’interno-esterno genera l’ambiguo”. Questo involucro spaziale si sviluppa attorno all’uomo come un’estensione della propria figura, necessario a proteggerlo dalle proprie insicurezze. Esso cresce all’aperto, ricordando le architetture nomadi e gonfiabili di quegli stessi anni, come ad esempio il piccolissimo “ufficio mobile” di Hans Hollein del 1969 (Fig. 10). L’immagine di queste membrane sottili e trasparenti rievoca in qualche modo la “placenta” cui Sacripanti accenna, il sottilissimo guscio universale è dunque riprodotto “all’aperto” per proteggersi da ogni paura. Al momento dell’uscita verso l’esterno, della nascita, il guscio originario prende un’altra forma rispetto a quella del grembo materno. Il guscio di Sacripanti è infatti vuoto ed artificiale, non a caso l’architetto accenna all’“incubatrice”, primo volume-guscio e casa dell’infante. Nello stesso tempo, e allo stesso modo, lo spazio volumetrico si definisce attorno alla figura dell’uomo che è di fatto il punto centrale dell’intera ricerca architettonica di Sacripanti. È importante notare infatti che l’architetto ha sempre messo il fruitore al centro delle proprie architetture, dandogli il compito di configurare i mutevoli spazi delle proprie strutture (23).

A seguire, il guscio della Città di Frontiera crea l’ambiguo, che consiste innanzitutto nella indifferenziazione fra esterno ed interno generata da questo spazio effimero, ed in secondo luogo nella sua valenza temporale. Per comprendere ciò a cui l’architetto allude proviamo ad immaginare una traduzione architettonica delle parole volutamente oscure che Sacripanti ha scelto per la descrizione dell’ambiguo; essendo una “increspatura del tempo” esso, come la zolla, rappresenta un momento di rottura con la tradizione ed è dunque momento di innovazione. All’epoca era senza dubbio innovativo considerare la modificazione delle strutture e delle architetture nel tempo (il cosiddetto “asse della T”) e quindi nello spazio. La molteplicità di configurazioni delle ope- re del Sacripanti genera una sostanziale ambiguità in termini di configurazione finale dell’architettura. Questa caratteri- stica viene altresì definita “aleatorietà”, quindi impossibilità di definire un’immagine finale dell’architettura poiché sia il tempo sia l’uomo sono chiamati a definirla e modificarla. La Città di Frontiera quindi, esattamente come le architetture di Sacripanti, in quanto mutevole e sensibile a questi cambiamenti altera “la faccia della terra”, inglobando e dunque riflettendo (ed è di nuovo importante ricollegarci alle considerazioni sullo specchio) l’impatto che entrambe hanno in quanto prodotti dell’uomo, riassumendo “i segni delle angosce e delle dubbie conquiste della libertà”.

Infine Sacripanti descrive due elementi, il cielo-guscio – che verosimilmente coincide con il guscio visto prima ma probabilmente ora descritto dall’interno, e dunque dal punto di vista dell’uomo che guarda il cielo stando all’interno della membrana – e la crociera, il primo elemento puramente architettonico della sua città immaginaria. Una volta compreso il guscio, è facile comprendere che la crociera è la struttura che sostiene spazialmente il guscio, infatti essa “mette insieme spessore e spazio e il sistema nega il suo peso”. La maglia tridimensionale sorregge i gusci, ma il tutto risulta estremamente leggero. A questo punto la Città di Frontiera combacia perfettamente con la Città-ponte poiché le immagini del primo plastico di studio esplicitano perfettamente le parole di Sacripanti. Un groviglio metallico sostiene volumetti singoli semi-trasparenti: esso non è che una nuvola di gusci imbrigliata nella grande crociera. La crociera, come il primo plastico di studio della Città-ponte “[...] è linguaggio, sopporta ogni misura e ogni geografia, basilica anfiteatro catte- drale chiostro, trappola per la luce e l’ombra, scala per l’ironia e il mistero dell’obliquo, stanza” (24). Dal guscio alla geografia, passando per l’architettura, la collisione di scale spaziali nel pensiero e nella filosofia di Sacripanti è affascinante quanto straordinaria. Sacripanti continua poi a descrivere la crociera come uno spazio in cui il passare del tempo e l’evoluzione storica della città collidono, esplodendo in una accumulazione di parole che suggeriscono le complessità della città come spazio politico dell’uomo. Egli esplicita questa congestione spazio-temporale come l’unione “uomo/ambiente” e “uomo/storia”, come il “luogo che con l’uomo è mutato e lo ha mutato”.

Alla descrizione della sua città, Sacripanti fa seguire delle importantissime considerazioni sulla città storica. Come vedremo, la formulazione finale della sua idea di città dipende fortemente dalle riflessioni sulla condizione dell’esistente. “E la città, zavorrata dal greve storico, sorpresa dal futuro, artificiosamente si spezza, ammutolisce, si scopre androgina e sterile all’innesto di ogni nuovo, si esaurisce, si ‘sdoppia’: un sopra e un sotto (a). Sopra, parallelismi urbanistici dove le strade perduto il racconto non comunicano più; sotto, i canali delle persone e cose; sopra, l’anonimo; sotto, l’utile” (25). Questo sdoppiamento è alla base del pensiero della Città di Frontiera e come vedremo verrà ripetuto numerose volte dall’architetto. Egli prosegue con una riflessione sulla creatività come “modulazione di differenze inedite”, e anche questa è un’espressione ampiamente utilizzata per descrivere le sue architetture multiformi. Nell’opera dell’architetto questa modulazione è connessa alla perfetta lettura del “tempo nello spazio”, perciò la creatività non può prescindere dalla profonda consapevolezza di quello che egli stesso definisce “asse della T”. Tutte queste considerazioni concernenti il tempo, e dunque il rapporto fra passato e presente nella città, portano Sacripanti a selezionare otto termini che probabilmente palesano in maniera più chiara il progresso a cui egli allude, e quindi alla rottura fra lo “ieri” e l’“oggi”. Gli otto termini citati sono rispettivamente: lo spazio, il tempo, l’energia, la memoria, la comunicazione, la percorrenza, il territorio, la struttura. Il Maestro evidenzia per ogni termine i cambiamenti che hanno subito e conclude sostenendo che nessun uomo consapevole di tale progresso avrebbe permesso lo “scollamento” fra sopra e sotto nella città. Al contrario, l’uomo “avrebbe proposto l’idea logico-creativa, quindi utile, di rimontare il sopra e il sotto (b) in un’unità a più facce, un sistema/immagine di ogni attività umana”. Chiarificando poco più avanti: “[...] in un progetto, dunque, che più non abbia un sopra e un sotto (c), dove la quota zero cessi di essere di dipendenza per diveni- re complemento, permettendo
[1] la crescita della città sia sopra che sotto (d)
[2] il rifiuto della prospettiva e con essa la linea dell’orizzonte
[3] la negazione dell’emergenza in riferimento al continuum
[4] montata non più per parti ma per sistemi
[5] passando dall’estetica dell’oggetto a quella del processo generativo di oggetti
[6] proponendo configurazioni mobili, così intese per definizione come per percezione
[7] diventando la struttura l’idea stessa dell’architettura
[8] per un uomo non antico, sì antico”
(26).

Sacripanti usa parole chiave per descrivere finalmente la sua idea di città. Nata dalla profonda riflessione sullo scollamento tra la città storica e quella contemporanea, la città ideale dell’architetto risolve ogni dicotomia unendo il sopra e il sotto, facendosi “unità a più facce” esattamente come il primo progetto della Città-ponte. Nello specifico, è possibile isolare tre momenti del “sopra e sotto”: innanzitutto il momento dello sdoppia- mento della città storica (a), successivamente il “rimontare” le due parti (b) fino all’annullamento della dicotomia (c), che infine permette la “crescita” della città in ambo le direzioni (d). È da notare che, appunto, la risoluzione di questa dicotomia è perfettamente visibile in entrambi i modelli che il Maestro realizza del progetto di Messina (Fig. 11). Sorprendentemente e coerentemente con la propria poetica, Sacripanti non propone una definizione fissa di città ma ne descrive il processo di crescita. Essa è inoltre “sistema/immagine di ogni attività umana”, accomodando ogni aspetto del vivere urbano. La sua Città di Frontiera possiede dunque otto caratteristiche fondamentali, in primis il fattore di crescita [1] relazionato al tempo in progressione verso il futuro e alle mutevoli esigenze dell’uomo. Il secondo punto [2] è il rifiuto della prospettiva, che risulta essere a nostro avviso il punto cruciale dell’analisi della seconda fase di progettazione della Città-ponte. Il “continuum” a cui fa riferimento Sacripanti nel punto [3] potrebbe essere riferito alla vecchia necessità di legare (anche figurativamente) la struttura e le forme della città storica con quelle della città nuova. Questo punto sarebbe dunque a sostegno della soluzione del ponte come forma della città ideale, separato dall’esistente. Il punto [4] è probabilmente legato al punto (1), in quanto il montaggio a cui egli si riferisce, essendo di chiara connotazione meccanica, può essere paragonato alla crescita “per parti” della città contemporanea, che nella città ideale di Sacripanti deve invece montarsi e crescere “per sistemi” (a questo punto “sia sopra che sotto”). Questo punto si collega immediatamente col successivo [5], poiché al sistema di crescita si affianca il “processo generativo di oggetti”. La connotazione processuale supera quella tradizionale, caratterizzata dalla realizzazione dell’oggetto architettonico valido nella sua unicità. Questo porta dunque alla definizione di “configurazioni mobili” [6], ancorate ad una “struttura” che di fatto si fa “idea stessa dell’architettura” [7]. È ancora Sacripanti a riassumere tutti questi concetti preparandoci all’analisi della seconda fase di progettazione della Città-ponte: “[...] nel nuovo processo architettonico e tecnologico il modulo spaziale si realizzerà attraverso tecniche sempre più specializzate, provvisorie, continue (strutture tridimensionali, maglie scavalcanti il mare e la campagna, piastre di parcheggio e di giardino e così via)” (27). Il Maestro infine conclude la sua enunciazione delle caratteristiche della Città di Frontiera accennando all’uomo che la abiterà [8]. Questo punto è assolutamente fondamentale per comprendere la differenza tra Sacripanti e altri celebri ideatori di utopie urbane dell’epoca. Egli immagina una città del tutto rivoluzionaria che sia però abitata da un uomo che mantiene un certo legame, o quanto meno consapevolezza e rispetto, con il passato. Questa contrapposizione fra “no” e “sì” si trova anche in un paragrafo precedente, sembrando a primo impatto un vero controsenso (28). Eppure adesso che siamo riusciti a comprendere più a fondo il pensiero di Sacripanti, ci appare chiaro che quel “per un uomo non antico, sì antico” significhi “contemporaneo ma anche antico”. L’idea di città dunque non prescinde dalla consapevolezza delle caratteristiche della città esistente, essa non è avulsa dalle vicissitudini storiche che hanno portato all’evoluzione delle città, anzi, le risolve rispecchiando l’uomo ideale che abiterà la nuova Città-ponte di Frontiera: un uomo (come una città) pronto allo slancio verso il futuro, ma dotato di una consapevolezza e memoria storica da cui non è possibile prescindere.

Sacripanti prosegue descrivendo due azioni necessarie alla costruzione della Città di Frontiera: “Progettare il mutevole” e “Progettare in ‘profondità”. Le soluzioni qui proposte sembrano quasi un pretesto per descrivere le cause che hanno portato alla formulazione delle stesse. Sacripanti in realtà manifesta una sensibile e profonda conoscenza del mondo dell’epoca, degli enormi cambiamenti che esso si trovava ad affrontare, degli effetti negativi sulla società dovuti alla mercificazione ed alienazione, assorbendone il disagio ed inventando forme di resistenza. Utilizzando le stesse parole del Maestro, la prima strategia testimonia, sia nella “scienza” che nell’“arte”, “la servitù, l’angoscia, il mercato” mentre nella seconda si assiste ad una riduzione della scienza in “tecnologia di consumo” e dell’arte in “mercato o solipsismo”. Vogliamo qui porre in evidenza il fatto che Sacripanti intende contestua- lizzare la propria Città di Frontiera nella situazione di profondo disagio dell’uomo contemporaneo. La fondamentale progettazione del mutevole, proprio perché è chiamata a conciliare il divario fra arte e scienza, permette di sfruttare le capacità della mente per tendere verso la libertà ed il “bene” della specie umana, mentre progettare in ‘profondità’ significa affrontare il tema della comunicazione nella sua totalità, come opportunità ma anche come strumento per soggiogare l’uomo alle volontà del “potere”. Quest’ultimo influenza le vicissitudini “incomprensibili” dell’uomo nella società del “progresso”, di cui adesso comprendiamo il risvolto negativo. Le “metamorfosi”, quanto il “futuro”, invece che essere esaltate (come fatto in precedenza), si manifestano qui nella loro veste reale, “ignota” e piena d’angoscia. “Questa è la sua (dell’uomo contemporaneo o il “Signor K”) ‘città di frontiera’”. Essa non è che il sintomo del disagio che l’architetto stesso sperimenta (29), è il frutto e lo specchio della società dell’epoca a cui, però, l’architetto reagisce: “[...] ma poiché sappiamo pure che l’uomo è diventato ‘accessorio’ delle ‘cose’, riscattarci è la nostra prospettiva” (30). Sacripanti scende dunque nella “profondità” della condizione della società contemporanea, usando gli strumenti perversi che essa stessa propone e volgendoli a proprio favore. Questo atteggiamento in qualche modo riassume il ruolo che Sacripanti immagina per l’architetto moderno. Nei suoi scritti il Maestro non nasconde le proprie idee politiche di matrice marxista; egli sostiene che l’architettura, come atto di “guerriglia”, debba proporsi come disciplina di resistenza alle dinamiche di potere dell’epoca, per un riscatto delle classi ed una lotta contro la “struttura dominante” (31). Questa lotta comunque si concretizza nell’atto della progettazione, titolo di questo paragrafo di Città di Frontiera. Sacripanti inoltre scrive in un’altra sede: “[...] il fatto è che l’accelerazione delle ‘cose’ è tale che fermarle, progettando, può sembrare impossibile ad alcuni [...]. Invece qui sta la chiave dell’unica progettazione possibile, che si fonda sull’irriducibile testimonianza di non possedere schemi, di non avere prefigurazioni. Dobbiamo quindi (anche perché tecnicamente lo possiamo) cercare la città come ‘capanna’, come fiaba, traendone l’immagine del e dal nostro inconscio” (32). La progettazione come resistenza nasce quindi dall’inconscio, che in questo caso implica la presenza di immagini archetipe già presenti nella mente poiché parte della storia dell’uomo. Da queste figure, come abbiamo visto in precedenza, egli trae ispirazione per la costruzione della propria idea di città.

“I progetti illustrati in questo libro sono, di quanto ho detto, i mattoni; e li presento perché sono sistemi che hanno prodotto immagini di una città che mi porto nella testa. Infatti l’Ospedale è una città [...]; il Parlamento invece è nella città [...]” (33). E così il Grattacielo, il Teatro, il Museo ed il Padiglione, tutti i progetti incompiuti dell’architetto si uniscono per formare la grande città nella mente di Sacripanti (Fig. 12). Ognuno di essi rappresenta una tematica tra le varie analizzate in questo libro, che si fa esso stesso progetto di città. Tutte queste architetture sono “brani di tempo”, che rappresentano insieme alla sua idea di città, anche la “lotta” personale dell’architetto contro la “viscosità sociale” e “mentale” di ognuno, cioè l’”opaco, lo statico” da cui l’architetto si distanzia.

Un’ulteriore considerazione è necessaria: poiché i progetti che compongono la sua immagine di città non sono mai stati fisicamente realizzati, la città di Sacripanti, piuttosto che risiedere nella realtà, risiede nell’immaginazione. Umberto Eco, parlando dell’Opera Aperta nelle arti e nello specifico nella scultura (maggiormente assimilabile all’architettura poiché prevede un fruitore attivo), accenna al modo in cui l’oggetto artistico viene mentalmente percepito e ricostruito da colui che vi gira attorno: “la forma completa si ricostruisce a poco a poco nella memoria e nella immaginazione” (34). Come per Sacripanti, la ricostruzione mentale della Città di Frontiera nasce sia da una operazione dell’inconscio (dove risiede, frammentata e compressa, la memoria) che dalla rielaborazione successiva attuata dall’immaginazione, intesa non come componente passiva ma attiva tanto dell’atto progettuale quanto di quello artistico. Questo termine ci riconduce al filosofo Immanuel Kant, la cui dialettica facilmente rispecchia il pensiero dell’architetto. Per Kant il momento dell’immaginazione si colloca quasi come linea di confine (perfettamente assimilabile alla nostra linea di frontiera) fra l’astratto mondo dell’intelletto in cui risiedono le idee e quello dell’esperienza, degli impulsi sensoriali non codificati. L’immaginazione architettonica è il momento in cui la mente è in grado di imbrigliare le idee in uno schema, definendone una primissima forma. Lo schema si manifesta ancor prima che questioni legate a materiali o funzioni si presentino, articolando le condizioni per generare un mondo. Questo processo riassume dunque la genesi della Città-ponte come idea non ancora sistematizzata dell’architetto.

Il ponte mentale che unisce entrambi gli stimoli sopracitati è figura archetipa necessaria alla risoluzione delle innumerevoli dicotomie citate dal Maestro, ed è per questo che il ponte riassume e contiene tutta la ricerca di Sacripanti. L’architetto ed ex-collaboratore di Sacripanti Alfonso Giancotti scrive a tal proposito: “[...] tutte le architetture di Sacripanti [...] altro non sono che ‘ponti’ perché occupano [...] lo spazio, ma anche perché permettono di andare ‘oltre’. Definiscono l’aleatorio, il transitorio ed il valico come momenti possibili del progetto. La teoria è già progetto, naturalmente” (35).

Lasciamo infine al lettore, in conclusione di questo viaggio all’interno della città nella mente di Sacripanti e conseguenzialmente della Città-ponte sullo stretto, il compito di comprendere le ultime parole del testo del Maestro, poiché il lettore è adesso in possesso di tutti gli strumenti necessari per comprenderne appieno le parole: “[...] così quelle che seguono sono le immagini, non complete, di un tema sotterraneo che è la città, delle occasioni che ho avuto per servirmi dell’ombra, del ‘sotto’; e da questi grumi condensati lungo la giornata di un’avventura, continuo a passare con la mano e la mente a reticoli dove ciascun nucleo divenga immutevole e mutevole, tanto da produrre e, insieme, subire campi di relazione in moto. Come nella natura.” (36). 

Francesca R. Forlini

Fig. 12 - Collage. © Francesca Romana Forlini

Fig. 12 - Collage. © Francesca Romana Forlini

FRONTIERA [...]

SPONDA II [...]

NOTE:

1 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973.
2 Due di queste foto e lo schizzo prospettico sono conservate presso il Fondo Sacripanti dell’Accademia Nazionale di San Luca; le restanti sono rintracciabili in fonti bibliogra- fiche.
3 https://www.youtube.com/watch?v=NoX7t7asAsA. 
4 https://www.youtube.com/watch?v=nKE6OG3Ulig
[...]
11 B. Zevi, Il Linguaggio Moderno dell’Architettura: Guida al Codice Anticlassico, Einaudi, Torino 1973.
12 B. Zevi, Il Linguaggio Moderno dell’Architettura: Guida al Codice Anticlassico, Einaudi, Torino 1973, p. 59.
13 B. Zevi, Il Linguaggio Moderno dell’Architettura: Guida al Codice Anticlassico, Einaudi, Torino 1973, p. 59.
14 M. Sacripanti, Un geroglifico spazio-temporale, in «Lineastruttura» 1, 1966, p. 43.
15 La seconda fase di progettazione invece ricorda piuttosto il “rod net” diYona Friedman.
16 Paolo Portoghesi accenna a questo aspetto nella sopracitata conferenza presso il MAXXI.
17 In questo caso si suggerisce un parallelo con la filosofia di Jacques Lacan, nello spe- cifico con lo “stadio dello specchio”.
18 Ci riferiamo nuovamente al sopracitato intervento tenuto da Paolo Portoghesi presso il MAXXI.
19 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 10.
20 U. Eco, Opera Aperta, Bompiani, Milano 1997. 
21 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 4.
22 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 4.
23 In molti dei progetti di Sacripanti, egli definiva una regola, uno schema, che si sarebbe sviluppato in base alle necessità del fruitore. Ad esempio nel progetto del Grattacielo Peugeot ogni compagnia avrebbe potuto occupare lo spazio del grattacielo desiderato, ma questo doveva inserirsi all’interno della maglia strutturale definita dall’architetto. Era dunque impossibile prefigurare il risultato esteriore del grattacielo, sarebbero stati gli uomini a modificarlo in base alle loro necessità. Si segnala inoltre un legame piuttosto importante fra questo concetto e il “Modulo-Oggetto” trattato nella seconda parte di questo saggio. 
24 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 4.
25 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 6.
26 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 8. 
27 M. Sacripanti, Un geroglifico spazio-temporale, in «Lineastruttura» 1, 1966, p. 43.
28 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 6.
29 Qui “sintomo” è inteso come il “sinthome” di Jacques Lacan.
30 M. Sacripanti, Maurizio Sacripanti sulla linguistica architettonica, in «L’architettura. Cronache e storia», agosto 1974, p. 532.
31 M. Sacripanti, Discorso sull’architettura, in L. Savioli, D. Santi, a cura di, Problemi di architettura contemporanea, G. & G. editrice, Firenze 1972, pp. 55-57.
32 M. Sacripanti, Maurizio Sacripanti sulla linguistica architettonica, in «L’architettura. Cronache e storia», agosto 1974, p. 531.
33 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 10. 
34 U. Eco, Opera Aperta, Bompiani, Milano 1997, p. 156.
35 A. Giancotti, Le immagini verranno: Antologia di scritti di Maurizio Sacripanti, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2015, p. 18.
36 M. Sacripanti, Città di Frontiera, Bulzoni Editore, Roma 1973, p. 10.

 

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