Voci plurali e inclusive per allargare gli sguardi

Voci plurali e inclusive per allargare gli sguardi

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Segnali incoraggianti arrivano dal mondo della ricerca e della curatela. Sembra infatti arrivato il momento di voltare pagina e affrontare nuovi e interessanti temi che animano il dibattito architettonico attuale: l’architettura di genere esposta al Padiglione Italiano della Biennale di Architettura di Venezia, le nuove figure professionalicon la mostra “Buone nuove” al MAXXI e la “Blackness” con l’assegnazione dell’Harvard Wheelwright Prize a una ricerca sulla relazione tra architettura classica romana e diaspora africana.

Il primo passo verso un’architettura plurale e inclusiva lo ha fatto il curatore Alessandro Melis, che ha compreso la necessità di dare voce e spazio alle numerose e brillanti progettiste che contribuiscono in maniera sostanziale all’architettura contemporanea. Tra i vari soggetti coinvolti spicca l’invito alla partecipazione di RebelArchitette, il giovane collettivo femminile che ha fatto dell’inclusività di genere la sua bandiera. La loro presenza alla mostra veneziana è un primo, necessario, riconoscimento al valore delle donne nell’architettura italiana.

Altra interessante scelta è quella del curatore di architettura Pippo Ciorra, attualmente impegnato nella realizzazione della mostra “Buone nuove” incentrata sull’evoluzione della figura professionale dell’architetto: non più il maestro alto e intoccabile di una volta, ma una figura più complessa, spesso femminile, giovane e non più autoritaria ma democratica e, soprattutto, collaborativa. Molto probabilmente la mostra darà visibilità a progetti che esplorano le relazioni tra architettura e identità, affrontando il tema degli spazi vissuti e progettati da persone non allineate ai binari di genere.

Queste due iniziative sono emblematiche di un cambiamento che sta lentamente facendosi strada e che forse un giorno investirà anche le università e la ricerca. Le scelte dei due curatori permetteranno di dare visibilità a nuovi temi e protagonisti rimasti finora al margine, e che stanno rapidamente spostando il baricentro del dibattito architettonico al livello internazionale verso il tema della diversità e della molteplicità di approcci progettuali, metodologici e di ricerca. I giovani studenti di architettura saranno probabilmente coloro che trarranno più giovamento dalla novità delle proposte, dalla varietà dei soggetti coinvolti e degli argomenti trattati. Basterebbe infatti pensare alle diversità etniche, di genere ed orientamento sessuale già presenti nelle facoltà di architettura; la divulgazione di temi e figure fino ad oggi marginali non farebbe altro che favorire inclusività e rappresentatività tra le future generazioni di architetti che, con la giusta consapevolezza ed incoraggiamento, potrebbero sviluppare nuove idee e punti di vista.

Un segnale d’innovazione della ricerca in ambito universitario arriva dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, dove è stato premiato l’interessante progetto di ricerca di un architetto afroamericano sugli spazi dell’antica Roma. La storia dell’architettura del nostro paese potrebbe essere integrata da una prospettiva nuova, incentrata sul contributo di costruttori di colore nella realizzazione dell’architettura classica e, nello specifico, della tipologia del portico. Il progetto di Germane Barnes intitolato Anatomical Transformations in Classical Architecture (Trasformazioni anatomiche nell’architettura classica) si è infatti appena aggiudicato il prestigioso Wheelwright Prize della Harvard Graduate School of Design, che ogni anno premia con 100.000 dollari una proposta di ricerca originale e con una prospettiva globale. (…)

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